Come evitare il cigno verde
conversazione con Edo Ronchi, presidente della fondazione per lo sviluppo sostenibile (di cui fa parte NextChem), esperto di green economy ed ex ministro italiano dell’ambiente.
Se solo 10 anni fa a preoccupare maggiormente l’economia globale erano i rischi economico-finanziari, sia in termini di probabilità di accadimento che di potenziale, oggi ai primi posti della classifica troviamo i rischi di carattere ambientale. In particolare quelli legati ai cambiamenti climatici: gli eventi meteorologici estremi, il fallimento delle politiche climatiche, i disastri naturali. È ormai accertato che tali rischi alimentano trasversalmente ulteriori rischi economici, sociali, geopolitici dalle conseguenze globali e non sempre prevedibili: le migrazioni, i danni al comparto energetico, la scarsità di cibo e di risorse, i rischi sulla salute. Dal timore del Cigno Nero – un evento catastrofico, inatteso, pronto a sconvolgere i nostri mercati finanziari – a quello del Cigno Verde: questa volta determinato dalle conseguenze del Climate Change.
Docente, parlamentare, ex ministro italiano dell’Ambiente tra il 1996 e il 2000, Edo Ronchi è da dieci anni presidente della Fondazione per lo sviluppo sostenibile, un organismo che opera al fianco delle imprese, aiutandole nel processo di transizione verso la green economy. Tra i soci fondatori della Susdef – da qualche settimana – c’è anche NextChem, la società del Gruppo Maire Tecnimont attiva nel campo della chimica verde e delle tecnologie a supporto della transizione energetica. «La green economy sta cambiando il modo di fare impresa – spiega Ronchi – e costringe le aziende a ripensare i modelli di business. L’approccio ai temi ambientali non può più essere burocratico e difensivo, ma proattivo e competitivo, sempre in chiave di qualità ambientale dei processi produttivi e dei prodotti. Per questo le imprese hanno bisogno di strumenti e approcci innovativi, nuovi strumenti di rendicontazione, strategie dedicate a un business che già in partenza deve essere pensato “green”. Imprenditori e manager hanno capito che sviluppare la cosiddetta eco-innovazione farà sempre più la differenza».
L’intervista con il presidente della Fondazione era partita su tematiche di scenario generale, sull’aggravarsi dell’emergenza climatica e sulle politiche in atto per accompagnare la transizione energetica su basi economicamente sostenibili. «La sfida epocale del Climate Change sta diventando l’anima di un grande progetto che dà nuovo senso e valore all’Europa. Con il Green Deal, infatti, la Commissione Europea ha messo in campo un piano di investimenti da circa mille miliardi entro il prossimo decennio, programma che richiederà un necessario adeguamento dei meccanismi istituzionali. D’altronde in questa fase storica il tasso di innovazione è molto veloce e non va rallentato, altrimenti rendiamo un Paese come l’Italia meno competitivo. Senza un ripensamento in tal senso, alcuni mercati, territoriali e settoriali, potrebbero non essere pronti a gestire le risorse finanziarie per l’innovazione tecnologica, lo sviluppo degli investimenti e la nuova occupazione».
nel 2019 si sono fermate a circa 33 miliardi di tonnellate, le stesse del 2018. L’arresto della crescita delle emissioni è causato dalla positiva evoluzione in corso nella generazione di energia elettrica. «La riduzione dell’uso del carbone per produrre elettricità – spiega Ronchi – ha prodotto un taglio di emissioni di circa 200 Mt di CO2 rispetto al 2018. Le economie più avanzate (USA, Europa e Giappone), nonostante la crescita del PIL, hanno ridotto le loro emissioni di oltre 370 Mt di CO2 : un taglio del 3,2%».
Per le imprese, l’altro grande focus al centro del dibattito è quello dell’economia circolare. Nella recente Conferenza Nazionale, organizzata dal Circular Economy Network, si è discusso del ruolo decisivo dell’economia circolare, proprio in concomitanza con il lancio del programma Green Deal. Oltre alla riduzione degli impatti ambientali e climatici, e ai conseguenti vantaggi economici e occupazionali, è emerso il tema della Bioeconomia Rigenerativa come ambito in grado di consolidare il futuro di settori di successo, come l’agroalimentare, aprendo contemporaneamente nuovi sviluppi in territori marginali e rilanciando siti e attività industriali dismesse. Così l’ex ministro: «La circolarità nell’uso delle risorse naturali è ormai una condizione necessaria per il benessere delle popolazioni e lo sviluppo delle imprese. L’Italia registra una performance complessiva di circolarità superiore alle altre principali economie europee, pur presentando dei rallentamenti».
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